Auschwitz e Birkenau

 
Auschwitz

CRACOVIA -È possibile raccontare Auschwitz senza essere retorici? Il rischio di ricorrere a definizioni abusate, e persino banali, è molto forte perché, effettivamente, l'impatto con il campo di sterminio conferma tutto l'orrore che la letteratura dell'Olocausto ha descritto in oltre sessant'anni.


Entrando ad Auschwitz e Birkenau, si ha l'immediata trasposizione in realtà di pagine e pagine di memorie con le quali siamo cresciuti e abbiamo preso coscienza della Shoah.


Ci sono le baracche di legno, capaci di ospitare circa centinaia di essere umani accalcati come animali, i chilometri di filo spinato, le torrette di guardia, i binari che portavano convogli strapieni di deportati fin nel cuore del campo.


Ci sono le fotografie, circa un milione e mezzo, tante quante le donne e gli uomini che, solo qui   ad Auschwitz, durante la seconda guerra, trovarono la morte. Migliaia e migliaia di volti tutti uguali, spersonalizzati dalla ferocia nazista e distinti solo da una breve serie numerica incisa da qualche parte nel corpo.


Poi ci sono le lapidi che richiamano l'attenzione sui crimini qui consumati e che ammoniscono chi passa di qua a non dimenticare. Passandoci davanti, a ciascun visitatore è chiesto di ricordare una delle tante vittime pronunciandone il nome, quasi a restituirle, anche solo per un attimo, l'identità strappata dal lager.


Ma c'è soprattutto il freddo. Dicono che l'impressione più dura di Auschwitz e Birkenau la dia la neve che cade copiosa a gennaio. Però il freddo, portato dal vento che soffia nel silenzio dei campi, è forse ciò che più di ogni altro particolare, persino più delle macerie delle camere a gas e dei forni crematori, riesce a dare la misura di tutto questo non senso.


Il freddo è la testimonianza più viva delle sofferenze inflitte, dello spoglio della dignità umana, dell'annientamento morale che qui si consumò a danno di migliaia e migliaia di persone - ebrei, detenuti politici, omosessuali, rom - perché è l'unico vero legame che, a distanza di decenni, il visitatore può ancora condividere con coloro che furono inghiottiti dal buco nero del Novecento.


Un legame che avvolge e da cui difficilmente, chi ha vissuto questa esperienza, potrà liberarsi.


Cracovia, 15 febbraio 2011


Simone Massacesi

Ufficio stampa della provincia di Ancona