Nonostante il suo carattere strutturale, forse mai come in questo momento le tensioni generate dal divario tra il nord e il sud dell'Italia sono state così tangibili. Nel concorrere a ciò vi sono numerosi elementi: dalle pluridecennali problematiche che da sempre definiscono la questione meridionale al montare della recente questione settentrionale, emersa all'inizio degli anni '90 con la nascita del fenomeno leghista, che ha contribuito non poco a cambiare la cultura politica del Paese e la percezione dei problemi che lo attanagliano. I temi della sicurezza, dell'immigrazione, della fiscalità sono diventati oggetto di politiche foriere di egoismi tali da far impallidire anche i più "italianeschi" stereotipi di un nord ricco, civile e opulento contrapposto a un sud povero e depresso.
I fatti degli ultimi mesi, accelerati anche dagli effetti della crisi economica, pur in continuità con questo processo segnano a mio modo di vedere un salto di qualità. Il leghismo, accentuato dai successi elettorali, ha superato i confini del partito tramutandosi in progetto per una parte consistente della maggioranza di governo. Per tutta risposta al sud, vecchi rancori meridionalisti, a lungo rimasti sepolti negli anni della Prima repubblica, riaffiorano e sembrano attirare l'interesse trasversale parte del mondo politico locale intorno a quella proposta politica rappresentata dal cosiddetto Partito del Sud.
Opzioni a mio avviso entrambe pericolose, che traducono un'idea miope e disgregativa del Paese, che non solo allontana dalla soluzione dei problemi che questo vive, ma rischia fortemente di accentuarli.
L'apertura del dibattito sul futuro del centro Italia ha sicuramente il merito di focalizzare le ragioni e i diritti di un'area, il centro Italia appunto, che, soprattutto per quanto riguarda le regioni minori come le Marche e l'Umbria, storicamente è stata percepita come marginale. I motivi li ha ben puntualizzati il governatore Gian Mario Spacca individuando il peccato originale nell'assenza di una fisionomia geoeconomica distintamente caratterizzata, figlia delle profonde diversità dei modelli di sviluppo adottati non solo nelle singole regioni, ma persino nelle diverse aree distrettuali create al loro interno.
A queste differenze, però, possiamo anteporre elementi di forza comuni e condivisi - una consolidata tradizione di buon governo, una rete pubblica di servizi rispondente ai bisogni sociali della popolazione, la difesa e la valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze, solo per citarne alcuni - che ci consentano di ripensare il centro Italia in forme più avanzate di un generico do ut des, per assumere una funzione di ricomposizione delle tensioni, che guardi al sistema Paese anziché ai particolarismi locali. Insomma, un centro Italia che non sia più solo cerniera fisica tra nord e sud, ma motore di un rilancio complessivo, con le sue istituzioni pronte ad assumersi l'onore e l'onere di lavorare a favore dell'interesse generale.
È un impegno che non può prescindere dalle esigenze del presente vissute dai singoli territori. Anzi, è proprio partendo da qui, dal ricercare e possibilmente trovare soluzioni alle grandi questioni irrisolte, che sarà possibile avviare la sperimentazione di un'azione politica più coesa e volta a innalzare il peso specifico dell'iniziativa comune. Si tratta di creare quelle condizioni sistematiche che per esempio abbiamo avuto modo di sperimentare in situazioni di emergenza come in occasione del terremoto del '98 o nella più recente crisi dell'Antonio Merloni, quando abbiamo saputo condividere i problemi e dare a loro risposte insieme ai nostri colleghi umbri. È auspicabile che questi momenti di condivisione vadano oltre le fasi emergenziali e trovino un luogo dove farsi progetto ed elaborazione. In questo senso, un primo terreno potrà essere quello delle infrastrutture, sul quale si gioca la sfida delle competitività dell'intero centro Italia, del quale le Marche costituiscono per vocazione culturale e posizione geografica la via strategica verso oriente e verso la macroregione adriatico mediterranea. Una sfida che se le istituzioni locali delle diverse realtà territoriali sapranno vincere, potrebbe rappresentare un nuovo inizio non solo per loro stesse ma per l'intero Paese.
Ancona, 17 settembre 2009