A quarant'anni da piazza Fontana la strage che cambiò il corso della storia

 
Foto di piazza fontana dopo la strage

Intervento della presidente della Provincia di Ancona Patrizia Casagrande Esposto


In occasione di anniversari e commemorazioni, i meccanismi politico-mediatici tendono a riproporre all'opinione pubblica frammenti di memoria e riflessioni celebrative che, in quanto tali, risultano spesso più aneddotiche che ispirate a una reale volontà di aiutare la comprensione dei fatti. Generalmente, il risultato è quello di rendere più sfuocato il ricordo e meno tangibili gli effetti dell'evento.

Anche il quarantennale della strage di piazza Fontana non sembra sfuggire a questa sorta di "regola non scritta" del linguaggio politico. Nonostante il suo significato e per come riuscì a cambiare le sorti del Paese e i destini di un'intera generazione, l'orrenda strage di Milano viene ancora oggi vissuta dalla maggioranza dei commentatori come un qualcosa di appartenete al passato e senza legami con la contemporaneità. Un errore che, purtroppo, alimenta quel vizio tutto italiano che ci spinge a vivere in un eterno presente di cui non comprendiamo le origini e che resta nudo e indifeso di fronte alla propria storia.

In realtà, Piazza Fontana rappresenta un momento di forte rottura della vicenda repubblicana che interruppe e deviò il corso degli eventi, lasciando in eredità paure utili a ribaltare quei nuovi rapporti di forza nati in seno alle lotte operaie degli anni '60 e ai moti anti-autoritari del biennio '68-'69 che sembravano davvero ridisegnare il volto delle istituzioni e della società italiana estendendo diritti e rimettendo in discussione gli architravi del conservatorismo.

Un'ansia di cambiamento che non aveva vissuto solo nelle forze politiche della sinistra (e che anzi, in alcuni momenti, seppero meno di altri coglierne la capacità innovativa), ma aveva coinvolto soggettività a loro tradizionalmente lontane, quando non estranee. Su tutte le nuove generazioni di studenti universitari, provenienti in larga parte da classi sociali medio-alte, e ampi settori del mondo cattolico apertisi ai valori del Concilio Vaticano II.

Insomma, piazza Fontana fu la brutale repressione di quelle speranze e la riaffermazione di logiche conservatrici che avrebbero ritardato di anni lo sblocco del sistema politico e l'avvio delle necessarie riforme strutturali.

Quale lezione trarre? Chiedere giustizia non è mai privo di significato, e ancora oggi, pretendere di perseguire mandanti e colpevoli è un sacrosanto diritto per la dignità di questo Paese e un atto doveroso verso i familiari delle vittime. Ma c'è anche dell'altro. C'è un bisogno che resta inevaso. Quello di porre nel casellario della storia condivisa dell'Italia repubblicana il tassello di piazza Fontana, liberandoci del fardello delle imbarazzanti partigianerie che, a distanza di lunghi decenni, malcelano ancora il tentativo di appannare la verità e di stemperare le responsabilità, riesumando persino dal vecchio armamentario ideologico la teoria degli opposti estremismi.

Un bisogno che aiuterebbe a porre nella giusta luce non solo gli aspetti più bui degli anni '70, ma anche la presenza storica e il successivo sviluppo di culture politiche a-democratiche presenti nel nostro ordinamento che rappresentano ancora oggi una questione aperta.
 


Ancona, 11 dicembre 2009