In occasione di anniversari e commemorazioni, i meccanismi politico-mediatici
tendono a riproporre all'opinione pubblica frammenti di memoria e riflessioni
celebrative che, in quanto tali, risultano spesso più aneddotiche che ispirate a
una reale volontà di aiutare la comprensione dei fatti. Generalmente, il
risultato è quello di rendere più sfuocato il ricordo e meno tangibili gli
effetti dell'evento.
Anche il quarantennale della strage di piazza
Fontana non sembra sfuggire a questa sorta di "regola non scritta" del
linguaggio politico. Nonostante il suo significato e per come riuscì a cambiare
le sorti del Paese e i destini di un'intera generazione, l'orrenda strage di
Milano viene ancora oggi vissuta dalla maggioranza dei commentatori come un
qualcosa di appartenete al passato e senza legami con la contemporaneità. Un
errore che, purtroppo, alimenta quel vizio tutto italiano che ci spinge a vivere
in un eterno presente di cui non comprendiamo le origini e che resta nudo e
indifeso di fronte alla propria storia.
In realtà, Piazza Fontana
rappresenta un momento di forte rottura della vicenda repubblicana che
interruppe e deviò il corso degli eventi, lasciando in eredità paure utili a
ribaltare quei nuovi rapporti di forza nati in seno alle lotte operaie degli
anni '60 e ai moti anti-autoritari del biennio '68-'69 che sembravano davvero
ridisegnare il volto delle istituzioni e della società italiana estendendo
diritti e rimettendo in discussione gli architravi del
conservatorismo.
Un'ansia di cambiamento che non aveva vissuto solo nelle
forze politiche della sinistra (e che anzi, in alcuni momenti, seppero meno di
altri coglierne la capacità innovativa), ma aveva coinvolto soggettività a loro
tradizionalmente lontane, quando non estranee. Su tutte le nuove generazioni di
studenti universitari, provenienti in larga parte da classi sociali medio-alte,
e ampi settori del mondo cattolico apertisi ai valori del Concilio Vaticano
II.
Insomma, piazza Fontana fu la brutale repressione di quelle speranze
e la riaffermazione di logiche conservatrici che avrebbero ritardato di anni lo
sblocco del sistema politico e l'avvio delle necessarie riforme strutturali.
Quale lezione trarre? Chiedere giustizia non è mai privo di significato,
e ancora oggi, pretendere di perseguire mandanti e colpevoli è un sacrosanto
diritto per la dignità di questo Paese e un atto doveroso verso i familiari
delle vittime. Ma c'è anche dell'altro. C'è un bisogno che resta inevaso. Quello
di porre nel casellario della storia condivisa dell'Italia repubblicana il
tassello di piazza Fontana, liberandoci del fardello delle imbarazzanti
partigianerie che, a distanza di lunghi decenni, malcelano ancora il tentativo
di appannare la verità e di stemperare le responsabilità, riesumando persino dal
vecchio armamentario ideologico la teoria degli opposti estremismi.
Un
bisogno che aiuterebbe a porre nella giusta luce non solo gli aspetti più bui
degli anni '70, ma anche la presenza storica e il successivo sviluppo di culture
politiche a-democratiche presenti nel nostro ordinamento che rappresentano
ancora oggi una questione aperta.
Ancona, 11 dicembre 2009