CRACOVIA - Al centro della piazza degli Eroi, dove oltre settant'anni fa le autorità naziste segregarono la popolazione ebraica, sono collocate 68 sedie di bronzo. Ognuna di loro sta lì a ricordare mille ebrei che abitavano la città prima dell'invasione tedesca alla fine del 1939. Oltre 68 mila persone, il 25% della cittadinanza. Qui dimenticare non è facile, nonostante oggi gli ebrei siano ridotti a poche centinaia. Forse perché il ghetto di Cracovia è uno dei tanti paradigmi della Shoah, un microcosmo di storie, personaggi e avvenimenti che consentono al visitatore di toccare con mano ciò che fu la follia nazista.
Ogni angolo, muro, piazza o palazzo racchiuso nel perimetro delle recinzioni a forma di lapide che i nazisti eressero per separare gli ebrei dalla città ha una storia da raccontare.
La storia di come tutto ebbe inizio, il 18 novembre del 1939, con l'istituzione dell'obbligo per gli ebrei di età superiore ai dodici anni di portare un contrassegno visibile al di fuori della propria abitazione. O quelle dei rastrellamenti che, nel 1942, prima deportarono nel campo di concentramento di Belzec 7 mila ebrei senza lavoro e poi altri 4 mila 500 in quello di Auschzitz. O la storia, terribile, della "soluzione finale", quando il 13 e il 14 marzo del 1943, a Cracovia come in tutti i territori sotto l'occupazione nazista, vennero annientati migliaia e migliaia di ebrei "liquidando" tutto ciò che restava dei ghetti.
Ma il ghetto di Cracovia racconta anche altre storie, che nella tragedia, nella Shoah, rappresentano un raggio di speranza, un esempio a cui guardare affinché, come ammoniva Primo Levi, ciò che accaduto non si ripeta.
Sono le storie generose di Oskar Schindler, forse la più famosa, che riuscì a salvare la vita di 900 ebrei dando loro lavoro nella sua industria di munizioni, e quella del farmacista Tadeusz Pankiewicz, che rifiutò di lasciare il ghetto prendendosi cura dei più bisognosi, nel momento in cui aiutare un ebreo significava esporsi alla morte.
Ci sono poi le storie coraggiose di Stella e Halina. Stella, che ha appena 9 anni e dalle finestre della sua abitazione in via Jòzefinska 29 assiste allo svuotarsi del ghetto e guarda i camion tedeschi diretti ai campi di sterminio riempirsi di suoi coetanei, prendendo coscienza, giorno dopo giorno, di un qualcosa che una bambina della sua età non dovrebbe neppure immaginare. Halina, invece, che di anni ne ha 17, vede con il trasloco nel ghetto infrangersi i suoi sogni di adolescente: "Vivo - scrive - sì, ma che vita è? Pigiata tra le tetre mura del seminterrato, con la vista sulla discarica e, come un ritaglio geometrico tra i tetti, un piccolissimo pezzo di povero cielo, là in alto".
Sono queste storie, quella di Oskar Schindler, del farmacista Tadeusz, di Stella e di Halina che oggi tengono vivo il ricordo e, consegnandoci il testimone della memoria, ci offrono un'occasione di impegno che abbiamo il dovere di non disattendere.
Cracovia, 14 febbraio 2011
Simone Massacesi
Ufficio stampa della provincia di Ancona