Sappiamo bene come oggi, più che in passato, il lavoro di chi persegue la
chimera di una storia condivisa del nostro Paese, assume frequentemente il
profilo del proverbiale vaso di terracotta tra molti vasi di ferro di manzoniana
memoria, ben rappresentati da vulgate storiografiche improvvisate, spesso a
rapido uso e consumo di posizione politiche e quasi sempre prive di basi
scientifiche. Per questo, quando a suscitare il dibattito pubblico sono luttuosi
episodi che, pur lontani negli anni, ancora richiamano dolori mai leniti e
ferite ancora aperte, cautela e responsabilità dovrebbero costituire l'alfa e
l'omega di ogni interlocutore.
Il riferimento è a come in questi giorni,
non solo sulla stampa, vengono trattati i fatti che nel luglio del 1944
portarono alla morte 13 di cittadini giudicati spie dei nazifascisti, ai quali
vennero imputate gravi responsabilità da parte dei partigiani per l'eccidio di
63 civili inermi nella frazione arceviese di Monte Sant'Angelo avvenuto nel
maggio precedente. Sia ben chiaro, lungi da me propositi di censura o di
ostacolo alla ricerca della verità, che è un sacrosanto dovere che si deve a
chiunque e rappresenta soprattutto l'elemento imprescindibile di una storia
davvero condivisa.
Ma non posso non riscontrare che forme, linguaggi e
contenuti con i quali si veicola all'opinione pubblica questi fatti hanno ben
poco di pacificatorio. Non compete a me giudicare quei fatti, a questo
penseranno gli storici e, se davvero verrà aperto un processo, i magistrati. Ma
sono convinta che non è inferendo un torto che eventualmente se ne ripara un
altro. Affermando a proposito di quei fatti, come recitano alcuni manifesti
affissi nei vari comuni del nostro territorio, "di bande partigiane comuniste
slave e italiane che nel 1944 terrorizzavano la zona di Arcevia", si compie
scientemente un'opera di mistificazione, ma soprattutto si offende la memoria di
chi morì da innocente, reo di aver accolto in casa e dato protezione a chi
lottava per la liberazione del Paese dalla guerra e dalla tirannide.
Ciò
non è tollerabile come non lo è la vanagloria insita in tutte quelle operazioni
pseudo culturali che da ormai un ventennio hanno mascherato il costante attacco
a quel patrimonio civile di inestimabile valore che è la
Costituzione.
Alle istituzioni corre l'obbligo di perseguire la
giustizia e di non far mai mancare il rispetto della dignità umana. Ma è un
obbligo che va di pari passo con la difesa di quei valori democratici espressi
dai principi fondamentali della Costituzione, sempre più spesso messi in
discussione anche mediante l'utilizzo di quei cavalli di Troia rappresentati da
ricostruzioni storiche forzate e distorte, appositamente allestiti per far
breccia tra le crepe del nostro essere collettività.
Ancona, 10 luglio 2009