Intervento della presidente della Provincia di Ancona Patrizia Casagrande Esposto

 
operaio al lavoro

Non sappiamo ancora  se la proposta di ripristino delle gabbie salariali sia l'ennesima boutade leghista o se sia invece uno degli strumenti con il quale il governo italiano intende affrontare gli effetti della crisi economica che, secondo statistiche ufficiali, lungi dall'affievolirsi, prospetta per l'autunno un periodo drammatico sul fronte dell'occupazione. Tuttavia, l'apertura di questo dibattito e le modalità di discussione aiutano, se ce n'era bisogno, a definire meglio la cultura politica che alberga nel governo e che questa proposta traduce in maniera chiara e senza timor di fraintendimento. Ovvero, una cultura oggettivamente chiusa, antisolidale e incline a favorire particolarismi (o egosimi) di breve respiro anziché guardare all'orizzonte più ampio del bene collettivo. Un po' come accaduto con la recente approvazione del pacchetto sicurezza.

Anzi, verrebbe da dire che la proposta della reintroduzione della gabbie salariali è la fisiologica conseguenza di quel provvedimento. Non può sfuggire infatti lo stretto legame "culturale" tra i due provvedimenti dato dalla volontà di scaricare i costi sociali della crisi sulle fasce popolari più vulnerabili. Come a dire: non ci sono risorse per un vero welfare che contribuisca a estendere e rafforzare le politiche di integrazione? Bene, cacciamo gli immigrati. Non esistono fondi per sostenere il sistema produttivo? Non c'è problema, introduciamo le gabbie salariali. Risposte inique e lesive di diritti acquisiti, ma sufficientemente supportate da una buona dose di demagogia e luoghi comuni che le aiutano a essere metabolizzate. Ma soprattutto risposte non risolutive del problema.

Tralasciamo, si fa per dire, che le gabbie salariali rappresentano già di per sé un'insopportabile disuguaglianza che, a parità di lavoro, porta a percepire stipendi diversi sulla base del luogo dove si svolge la propria attività. Non consideriamo, si fa sempre per dire, i dati sulla ripresa dei flussi migratori interni da sud verso nord, che ci riportano indietro di oltre mezzo secolo. Ma è possibile che a nessuno, dalle parti del governo, interessi il fatto che una delle principali componenti della crisi in Italia sia costituita proprio dalla restrizione della domanda procurata da una questione salariale che colloca tra gli ultimi posti in Europa il livello del reddito da lavoro dipendente degli italiani? Questo tema non mi sembra all'ordine del giorno nell'agenda del governo, sensazione confermata proprio dal rilancio delle gabbie salariali. A meno che altri siano gli obiettivi di questa proposta, come ad esempio la volontà manifestata più volte in altre forme di rimettere radicalmente in discussione l'assetto del contratto collettivo nazionale di lavoro, con il più che concreto rischio di alimentare ancora di più la disgregazione sociale. Un rischio che non possiamo permetterci, né a destra né a sinistra.

Quando il ministro Brodolini, oltre quarant'anni fa, abolì le gabbie salariali disse che nell'Italia di allora, di gabbie, ne esistevano già troppe e che aveva pensato di iniziare a cancellarne qualcuna. Purtroppo nell'Italia di oggi molte gabbie sono state nuovamente istituite, cerchiamo di non accrescerne ancora il numero.



Ancona, 10 agosto 2009