Non solo passaggi da uno stato all'altro (fisico o geopolitico che sia), ma
governo sociale e territoriale dell'energia. Il principio della produzione
differenziata e decentrata di energia che ispira l'intera pianificazione
regionale e quello della Provincia di Ancona, è anche quello che potrebbe
consentire di assorbire la realizzazione di un rigassificatore, purché
condizioni e circostanze della sua presenza siano ad esso coerenti.
Dico
un rigassificatore, e non due come viene invece richiesto dalle società
interessate API Nova Energia e GAZ DE FRANCE e come sembra incline a consentire
il governo regionale delle Marche. Non basta che ci siano domande da parte dei
soggetti interessati per giustificare la realizzazione di due impianti
dirimpetto alla costa della provincia di Ancona, e talmente vicini tra loro che
un buon nuotatore potrebbe raggiungerne uno dall'altro.
Se consideriamo
che nel resto d'Europa si realizzeranno non più di 10 rigassificatori, e che
sugli oltre quattromila chilometri di costa italiana si può ipotizzare una
concentrazione di massimo 5/7 impianti, di cui due già in stato avanzato in alto
Adriatico, un ammassamento come quello richiesto sul nostro tratto di costa
sarebbe eccessivo e non giustificabile nemmeno in termini di bilancio
energetico.
A cosa servirebbero infatti due rigassificatori uno vicino
all'altro? Certamente non a sopperire alle necessità locali. Piuttosto
trasformerebbero il nostro tratto di costa in un hub, ossia in una testa di
ponte per la distribuzione del metano su un territorio molto più vasto di quello
regionale, e la nostra coste ne diventerebbe solo lo snodo. E' questo che
vogliamo?
Perché poi non è che i rigassificatori non abbiano nessun
impatto ambientale: sono impianti sottoposti alla "legge Seveso" che alterano i
fondali per un certo tratto, attirano molte navi e trattano comunque sostanze
infiammabili, con tutti i rischi che questo comporta in caso di un possibile
incidente. Secondo studi commissionati dal Pentagono un incidente a una nave
gasiera provocherebbe una specie di tsunami di fuoco. D'altro canto è anche vero
che il Giappone va avanti coi rigassificatori da un bel po' di anni senza
incidenti rilevanti.
Nel nostro caso, meglio sarebbe mettere a confronto
le due diverse tecnologie che vengono progettualmente previste e optare per
quello che risulterà migliore in termini di efficienza e sicurezza. Potremmo
allora accettare un rischio ambientale controllato consentendo un solo impianto
di rigassificazione in base a una opportuna logica distributiva e a condizione
che l'intero territorio possa beneficiare della sua presenza. A questo
proposito, dal punto di vista occupazionale si valuta che un rigassificatore
possa dare lavoro a un'ottantina di persone, che niente non è; ma resterebbe
comunque avulso dal territorio che lo accoglie quando questo non ne beneficiasse
al pieno delle sue capacità.
Ritengo allora che, qualora si addivenisse
alla realizzazione di un solo rigassificatore, si dovrebbe pretendere dalla
società proponente la sottoscrizione un impegno a valersi, per la costruzione
delle necessarie navi gasiere-metaniere, della capacità produttiva che possiede
il comparto naval-meccanico della provincia di Ancona.
Un'ultima
considerazione vorrei aggiungere: la recentissima entrata di EDF nel progetto
del gasdotto South Stream che convoglierà metano Gazprom in Italia (per un 10%
che potrebbe lievitare a 20% per un'operazione che ammonterebbe a 20 miliardi
complessivi, dai 2 ai 4 miliardi di euro per EDF, quindi) potrebbe far venire
meno l'interesse di Gaz de France alla realizzazione di una ulteriore
infrastruttura di approvvigionamento di gas.
A questo punto ci
troveremmo anche noi a rammentare che l'impatto di un gasdotto è certamente
minore di quello di un rigassificatore, e che il Giappone adottò sì questa
tecnologia, ma per il fatto che non era quasi irraggiungibile da una
pipeline.
Ancona, 21 dicembre 2009